Poesia n°3

 

 

 

A quale est legherai il mio braccio, ora?

L’altro, afferrato l’ovest,

già tende il torace verso me (l’orizzonte)

un sorriso di vomito che s’apre alla bocca

a mentire, ad urlare che non è vero!

Che finge!

Che è un impostore!

Chi, il mondo? No … tu!

Ma cosa importa …

le dita, aghi nella carne

a contenerti d’odio l’anima,

restano

strette alle tue setole di porco,

non si aprono

a lasciartela fuggire via,

si chiudono, mani, preghiere,

a contenderti di pugni Dio,

a rubare quel che gli avanza del tuo cielo.

Ma c’è qualcosa che si muove laggiù:

è qualcuno che esce da una zuffa,

scrolla l’abito di polvere sulla strada,

scuote via la terra dalle scarpe,

è il più grande fra i mediocri,

e mi viene incontro.

Scende dall’altare dei morti,

il capo di cenere cosparso,

slegati i capelli d’ogni segreto,

vivo, a sacrificare un po’ di coraggio,

viene fuori dai nascondigli del suo cuore,

e, in tutta fretta, inseguito da dietro,

gli fa guardia alle spalle

il nulla cosmico,

venuto fuori, anch’egli, dagli anfratti

più profondi della sua disperazione.

In punta di piedi s’avvicina l’uomo,

scala quel che resta dei corpi

martoriati, oltrepassandone,

d’ognuno il golgota,

sale ancora, fino raggiungergli il culo,

a reggersi, lì, coi denti d’oro,

sulla bocca spalancata della loro morale,

in silenzio … sotto i padiglioni vuoti

di questo milione di stelle leccate,

e lasciate cadere a marcire sui pavimenti

bianchi delle loro belle

stanze pulite e riordinate,

lui si abbassa in ginocchio,

e quasi steso sul pavimento,

a stropicciare la cravatta

tessuta di corda,

si prende la premura

di raccoglierne qualcuna, e di rimetterla al suo posto,

di reggergli, così, l’universo sui suoi polsini

nuovi.

“sentili questi poeti,

-dice rivolgendosi a me-

ascoltateli piangere,

perché quei poveretti, lo credono

per davvero, d’avere

ogni stella sul palmo

della loro mano…

e credono di poterle,

a proprio dispetto e piacere,

lasciarle cadere, così …

solo per il gusto di farcele raccogliere,

e di parole, poi, fargliele salvare.

Un istante, poi più niente.

Ma se anche il più bello dei sogni non può che restare

solo un sogno, allora è destinato a svanire …

e così svanì.

Resti tu.

Chiuso ancora in quella stanza,

buttato sul pavimento il cuore

sopra quel mucchio

d’inutili stelle, da lasciarti raccogliere,

ad aspettare …

piccolo verme nascosto

fra le pieghe putrefatte della tua coscienza,

stringi più forte ancora le braccia

alle tue setole di porco,

le dita, ancora, aghi infilati nella carne,

scavano ogni muscolo,

a non lasciartela fuggire via l’anima ...

a tenerti lì, fermo, a contenderti di pugni Dio, a raccogliere,

di mille preghiere, gli avanzi sputati per terra del tuo cielo…